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POPEYE, BRACCIO DI FERRO
(POPEYE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 febbraio 1982
 
di Robert Altman, con Robin Williams e Shelley Duvall, Linda Hunt (Stati Uniti, 1980)
 
"Ventiquattro personaggi in NASHVILLE, quarantotto in UN MATRIMONIO, sessantatré in POPEYE: l'ultimo film di Robert Altman, sul piano dell'organizzazione formale è sicuramente tipico della sua opera. E non solo per la visione corale dei personaggi: Braccio di Ferro, il celebre personaggio dei fumetti creato negli anni venti da E.C. Segar, è uno straniero giunto dal nulla in una contrada governata da un tiranno. Proprio come l'eroe di uno dei grandi film di Altman, I COMPARI: un western quindi, anche se prodotto da Walt Disney, se destinato (forse) ai bambini. E altri infiniti dettagli, a cominciare dalla meravigliosa ricostruzione del villaggio con le baracche cadenti in legno, fino a certe scene di taverna o di bordello, richiamano alla mente il film precedente di Altman.

POPEYE è un film che esalta tutti coloro che hanno riconosciuto in Altman uno dei grandi maestri del cinema americano del dopo-Hollywood, e che li delude al tempo stesso. Forse perché nel film c'è una parte del grande Altman che si riconosce facilmente, ed un'altra che, se esiste, è molto più difficile da scoprire.Quello di Altman che esiste in POPEYE è il suo straordinario talento formale. Con la collaborazione dell'operatore di Fellini, Giuseppe Rotunno, con quella di Wolf Kroeger che aveva già creato le scenografie di HEALTH e di QUINTET, con il costumista Scott Bushnell che ha tipato esattamente l'aspetto esteriore dei personaggi del fumetto, Altman ha ricreato un villaggio di pescatori della Nuova Inghilterra immergendolo in un ambiente meraviglioso. Girato a Malta, il film ritrova i colori e gli spazi di uno dei grandi miti, quello dell'infanzia, e quello dell'avventura.Libero da costrizioni ideologiche (e il fatto costituisce al tempo stesso un vantaggio ed un limite dell'opera), il regista si è dato completamente al piacere di inventare delle forme, di "fare" cinema.

Braccio di Ferro, Olivia (l'impersonificazione, ormai cult, di Shelley Duval), il padre di Popeye, il bebè, sono certamente i personaggi principali. Ma il film, proprio come in NASHVILLE , si allarga in una visione corale, e prende respiro e giustificazione proprio in quel suo dilatarsi. Sono giocolieri, mimi, musicisti, tutta la riserva immensa del teatro e del music-hall americano che Altman utilizza con un unico scopo: quello di annullare la dimensione (il peso, lo spazio, la logica) del teatro umano: per sostituirlo con quello del disegno animato. Con le sue leggi particolari, i suoi significati e la sua poesia. Il risultato (anche se compromesso dall'edizione doppiata in italiano che circola nel Ticino) è bello da vedersi: e se pensiamo a tutte le opere recenti che il cinema americano ha dedicato al mito dell'infanzia (GUERRE STELLARI, SUPERMAN, INCONTRI RAVVICINATI, ecc.) questo di Altman è di una inventiva e una grazia invidiabili, che la fa entrare di diritto nel mondo del fantastico.

Il cinema di Altman ci aveva anche abituati a qualcosa che rimaneva nel nostro ricordo, oltre l'immenso talento compositivo che gli permetteva di ricostruirci il mondo dei pionieri de I compari, o quello dei polizieschi di THE LONG GOODBYE, quello del gioco d'azzardo di CALIFORNIA POKER o ancora quello della fantascienza di QUINTET. Ed era una sua visione, storica e critica, dei valori americani (e non) che stavano dietro quel tipo di riferimento cinematografico. Questa è la parte di Altman che con maggior fatica s'intravede nel mondo di POPEYE. Certo, il regista non ha girato il film a caso, anche se si tratta di un'opera di comanda. Ha descritto il viaggio di un figlio alla ricerca del proprio padre, in questo caso addirittura del proprio doppio (e la sequenza dell'incontro fra i due, che si rispecchiano nella loro somiglianza, è una delle più stimolanti del film). Ha voluto illustrare una parodia della cultura americana, con ogni personaggio del film che costituisce la caricatura di un elemento di questo cultura. Una specie di illustrazione dei proverbi nazionali e popolari, tanto che qualcuno ha citato, come riferimento, i "Proverbi olandesi" dipinti da Brueghel. Ha voluto soprattutto, sotto le apparenze di un divertimento per bambini, compiere una dissertazione sul potere e sulla politica. Perché tutta l'organizzazione del film porta a questo: e perché la storia non è altro che quella di un buono che cerca il padre, e quando lo trova si accorge che è un tiranno. Ma se la forma del film si svolge con una facilità meravigliosa, al punto tale da farci pensare che ciò avvenga proprio perché il regista si sentiva libero da altre preoccupazioni, non altrettanto si può dire della chiarezza di tutti questi riferimenti morali e culturali.

POPEYE, insomma, lo si ricorda per i suoi miracoli espressivi: altri film di Altman si sono impressi nella memoria degli spettatori per le riflessioni, i riferimenti al quotidiano, il peso di una critica al quale questi miracoli continuamente rimandavano."


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